Covid-19: perché le pasticcerie restano chiuse?

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Una magnifica pastiera napoletana artigianale, rigorosamente fatta in casa (Credits: Luisa Bosco, Napoli).

Noi dell’Università della Cucina Mediterranea siamo sostenitori della più rigorosa applicazione dei decreti legge che hanno così tanto modificato i nostri comportamenti individuali, sociali e, purtroppo, causato enormi danni economici a due dei principali settori economici di riferimento per la nostra attività: la ristorazione e il turismo. E continuiamo, in ogni occasione, a ricordare l’importanza assoluta del distanziamento sociale, dell’igiene e di tutte le regole suggerite per sconfiggere il Covid-19.

Tuttavia, con l‘approssimarsi della Pasqua, non possiamo non porci una domanda: perché le pasticcerie (ad oggi circa 4.100 punti vendita di “pasticcerie pure”*), non possono aprire?

Gli alimentaristi, grande distribuzione e piccoli esercizi commerciali, sono una delle categorie produttive che nell’emergenza Covid-19 non ha subito restrizioni alla propria attività, se non l’obbligo di rispettare le norme igienico-sanitarie indicate dalle autorità per contenere la diffusione del contagio. Certo i dolci non sono strettamente necessari alla nostra sopravvivenza. Ma ci è difficile comprendere la ragione per la quale artigiani come i pasticcieri abbiano dovuto subire la forzata chiusura delle proprie attività anche in un periodo ad alta redditività come quello pasquale, privando di fatto i consumatori della possibilità di acquistare le produzioni dolciarie che, oltre a dare sollievo allo spirito dei consumatori, avrebbe ristorato anche le tasche di questa categoria.
Oltre ad attenersi alle prescrizioni sulle cautele da adottarsi in termini di salvaguardia dei lavoratori, per quanto concerne la vendita al pubblico delle loro produzioni, le pasticcerie, da sempre abituatissime a prendere molto sul serio le norme igienico sanitarie,  si sarebbero dovute attenere alle stesse regole vigenti per le salumerie e per gli altri piccoli alimentaristi sulla “distanza di sicurezza” tra gli avventori, ormai abituati alle nuove regole, per evitare i famosi assembramenti.
Si è venuta così a determinare, non si comprende se per eccesso di zelo protezionistico o se per involontaria superficialità, una situazione paradossale di concorrenza sleale: si può acquistare in salumeria o al supermercato un qualunque prodotto dolciario, ma non in pasticceria no.
Occorrerebbe, a nostro avviso, un decreto urgente ad hoc per consentire la riapertura dei laboratori artigiani pasticceri che potrebbero così rifarsi almeno in parte dei mancati guadagni, in uno dei periodi dell’anno dove più forte è la domanda dei loro prodotti.
Probabilmente è tardi per correre ai ripari, ma la circostanza funga da insegnamento affinché chi di dovere valuti tutte le facce di un variegato sistema produttivo che, per fortuna, rappresenta ancora un’eccellenza e un forte valore aggiunto soprattutto identitario dell’italianità, a casa nostra e nel mondo.

 (* Fonte: Fonti: CCIAA Milano Monza Brianza Lodi – Istat – AIDA – Bureau van Dijk – TradeLab – Osservatorio SIGEP – riportato da SmartComunicazione.com, 31/01/2019)

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