PARIGI – Christophe Pelé si è manifestato in modo atipico all’interno della cucina francese. Occhiali, volto intellettuale, il rossore dell’esigenza, la necessità di essere lì, sempre lì, al fornello, con la magnifica missione della cucina espressa (nel rapporto tra fresco/mercato/intuizione).
Una realtà – si diceva – singolare e sicuramente unica in un mondo che va verso lunghe linee di preparazioni, cotture differite, azzeramento del rischio.
Ecco, Pelé – e la sua brigata guidata dall’italiano Andrea Capasso – porta in tavola il rischio.
Composizione del menù alla spagnola
Fritti e salsa tartara originaria
Piccantezze molto diffuse
Passaggi con le mani
Acidità
Sapidità alternate
Meraviglioso seppia/riccio/pistacchio
Burrata in carrozza che sembra un fritto di baccalà
Vongole e testina grasso e acido
San Pietro sulla gratinatura speziata
Ostrica fragole aglio splendido piatto che sa d’estate
Un’incredibile ventresca di tonno con salsa XO
Coniglio e vongole
Polpo fritto, prosciutto e senape altro passaggio di gusto memorabile
Maritozzo rognone e mortadella come street food
Dessert alternati meno a fuoco
Una cucina che parla al mio palato più di tante altre, sovversiva nel suo contestualizzarsi in un palazzo di quelle fatture (di proprietà del principe del Lussemburgo). Una diacronia piatto contesto che ben manifesta la rottura, l’esigenza, il gusto, la possibilità, l’imperdibile dell’identitario.
